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“La casa del mulino nero”: il racconto crudo e autentico di un'infanzia negata

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“La casa del mulino nero”: il racconto crudo e autentico di un'infanzia negata

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Responsabilità editoriale di Conoscere Cultura

Gaetano Vari descrive un viaggio di memoria, dolore e tenacia attraverso il dopoguerra

28 aprile 2025, 18:39

Conoscere Cultura

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Con il suo intenso romanzo autobiografico “La casa del mulino nero”, pubblicato dal Gruppo Albatros Il Filo, Gaetano Vari racconta un viaggio doloroso e autentico nella memoria di un'infanzia segnata da privazioni materiali, sofferenze affettive e violenze emotive. Sin dalle prime pagine, emerge la volontà dell’autore di rimettere ordine nei frammenti della propria esistenza, riconoscendo che la sua esperienza, pur profondamente personale, è anche emblematica di un’intera generazione cresciuta tra le macerie fisiche e morali del dopoguerra. Il libro si propone come testimonianza, ammonimento e speranza, rivolgendosi principalmente ai giovani, agli educatori e ai genitori, affinché possano riflettere sul valore fondamentale della libertà, dell'educazione e del rispetto reciproco.
Il tono del racconto è asciutto, talvolta crudo, ma mai compiaciuto; si percepisce una necessità urgente di narrare, di far emergere dalla polvere del tempo quei dolori che, lungi dall’essersi sopiti, ancora bruciano sotto la pelle dell’autore. La figura paterna domina il testo come un’ombra ingombrante e minacciosa: un padre autoritario, crudele, incapace di compassione, che incarna il peggio di un'epoca in cui la violenza domestica era spesso tollerata, se non addirittura giustificata, in nome di un malinteso senso del dovere e della disciplina.
Attraverso una narrazione minuziosa, Vari ripercorre ogni fase della sua crescita in un ambiente rurale povero ma pieno di dignità. Le descrizioni della vita contadina sono ricche di dettagli vividi: il lavoro nei campi, l’allevamento degli animali, la vendemmia, la raccolta delle olive, la produzione artigianale di vino e pane. Queste pagine restituiscono con forza la fatica quotidiana di una vita semplice, scandita da ritmi naturali e da un senso del dovere totalizzante. Tuttavia, il paesaggio rurale non è mai idealizzato: a fronte della bellezza naturale e della comunità solidale, il protagonista deve affrontare l’oppressione famigliare, la negazione dell’infanzia come spazio di gioco e crescita.
Uno degli aspetti più toccanti del libro è la descrizione della scuola. In un’epoca e in un contesto in cui le scuole di campagna erano fatiscenti, prive di servizi essenziali, con aule miste e sovraffollate, l’istruzione assume per il giovane Vari il valore di una possibile via di fuga, un’occasione di riscatto, nonostante le dure condizioni di apprendimento. Qui emerge il ruolo salvifico di alcuni insegnanti, figure che rappresentano un'ancora di umanità e fiducia in un mondo altrimenti segnato da durezza e freddezza affettiva.
La narrazione procede attraverso una serie di episodi emblematici: la fuga da casa a dodici anni, l’acquisto del primo motorino come simbolo di indipendenza, l’ingresso nel mondo del lavoro, la scalata professionale che lo porta a ruoli di rilievo internazionale. In particolare, la permanenza in URSS durante il disastro di Chernobyl costituisce una delle parentesi più drammatiche e significative, mostrando come l’autore abbia sempre affrontato la vita con determinazione e lucidità anche di fronte alle avversità più estreme.
Nonostante le violenze subite e le fratture insanabili, Vari non si abbandona mai completamente al rancore o al vittimismo. Piuttosto, il libro si configura come un tentativo doloroso ma necessario di dare senso a un'esistenza che, pur nel dolore, ha saputo conquistarsi la propria autonomia e dignità. In questo senso, il messaggio finale è di resilienza e speranza: “La vita è comunque un dono che merita di essere vissuto”, afferma l’autore, chiudendo il suo racconto con una nota di consapevole accettazione.
Un altro elemento distintivo dell’opera è l’attenzione al cambiamento dei costumi sociali: attraverso le esperienze personali, l’autore traccia un affresco della trasformazione della società italiana dagli anni '50 a oggi. La narrazione si sofferma su usanze, linguaggi, relazioni di vicinato, rapporti di lavoro, evidenziando la perdita di alcuni valori di solidarietà e semplicità, e al contempo criticando aspramente la crescente burocratizzazione e disumanizzazione dei rapporti sociali odierni.
Il dolore, in “La casa del mulino nero”, non è mai fine a se stesso. Attraverso una scrittura tanto rigorosa quanto intrisa di emozione trattenuta, Gaetano Vari costruisce un percorso di lenta, faticosa emancipazione. La sua “infanzia scippata” – come recita il sottotitolo – non è solo un lamento per ciò che è stato tolto, ma anche un atto di resistenza: un modo per riaffermare il diritto di ogni essere umano alla propria identità, alla propria autonomia emotiva e intellettuale. Ogni episodio narrato, anche il più drammatico, contribuisce così a comporre un mosaico di crescita interiore che porta il protagonista, e con lui il lettore, a comprendere che l'affermazione di sé passa attraverso il dolore e la capacità di trasformarlo in forza.
Significativo è anche il rapporto con la madre, figura ambivalente nel racconto: da una parte complice silenziosa di un sistema familiare violento, dall'altra fragile baluardo di affetto e protezione nei momenti più bui. È nella descrizione di queste sfumature emotive, mai del tutto risolte, che Vari dimostra grande maturità narrativa, restituendo personaggi profondamente umani nella loro imperfezione. La lingua adottata è diretta, talvolta ruvida, ma sempre funzionale alla volontà di raccontare la verità senza edulcorazioni. Non c'è spazio per abbellimenti retorici: ogni parola è scelta con cura, ogni episodio è ricostruito con meticolosa attenzione ai dettagli, quasi come se l'autore volesse incidere nella memoria collettiva non solo la sua esperienza, ma quella di tanti altri: è come se l’autore, con la sua narrazione, volesse rendere giustizia a una generazione silenziosa che ha vissuto, sofferto e lottato nell'ombra.
Gaetano Vari dimostra inoltre grane raffinatezza stilistica nell’intreccio tra il racconto personale e i riferimenti al contesto storico, economico e sociale, che non appesantiscono mai la narrazione, ma la arricchiscono di spessore e profondità. In questo modo, “La casa del mulino nero” si eleva al di sopra della semplice autobiografia, diventando un'opera che racconta un'epoca intera, il lento e faticoso passaggio dall'Italia contadina del dopoguerra a quella industriale e globalizzata dei decenni successivi.
Non mancano momenti di struggente tenerezza, come l'amore per gli animali, la curiosità infantile, i primi timidi tentativi di amicizia e autonomia. Questi squarci di umanità emergono con forza proprio grazie al contrasto con l'opprimente durezza dell'ambiente circostante, e permettono al lettore di intravedere la scintilla di vitalità che il protagonista ha saputo preservare dentro di sé nonostante tutto.
Nel complesso, “La casa del mulino nero” è un libro che lascia il segno. È un viaggio faticoso, a tratti doloroso, ma necessario. La scrittura di Vari si fa carico di una memoria pesante, eppure riesce a restituirla con lucidità e dignità, senza mai cedere al risentimento né alla facile commiserazione. È una lezione di coraggio, di dignità e di amore per la vita, che parla non solo ai coetanei dell'autore, ma soprattutto ai giovani di oggi, troppo spesso ignari dei sacrifici e delle lotte che hanno reso possibile il loro presente.
Chiudendo il libro, si resta con la sensazione che ogni sofferenza narrata, ogni ingiustizia subita, ogni lacrima versata abbiano contribuito a forgiare un uomo capace di guardare il proprio passato senza vergogna, senza negarlo, ma anzi trovandovi la radice profonda della propria forza. In un'epoca in cui la memoria sembra talvolta liquefarsi in una distrazione continua, Gaetano Vari ci ricorda che solo conoscendo e accettando il proprio passato si può davvero costruire il futuro.

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