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I detenuti protagonisti dello spettacolo Destinati al vento

I detenuti protagonisti dello spettacolo Destinati al vento

In scena a Perugia con il progetto 'Per Aspera Ad Astra'

PERUGIA, 23 aprile 2025, 15:32

Redazione ANSA

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"Destinati al vento" è il titolo dello spettacolo teatrale che andrà in scena a Perugia, nell'ambito della settima edizione del progetto "Per Aspera Ad Astra - riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza" che vede protagonisti, sul palco e dietro le quinte, proprio i detenuti.
    La messa in scena, giovedì 15 maggio alle 18 presso la Casa circondariale di Capanne e lunedì 19 maggio alle 19.30 al Teatro Morlacchi di Perugia, è diretta da Vittoria Corallo e promossa da Acri (l'Associazione nazionale delle fondazioni di origine bancaria), con il sostegno di Fondazione Perugia e prodotta dal Teatro Stabile dell'Umbria. Si tratta del settimo capitolo di una ricerca portata avanti insieme ai detenuti, alcuni già tra i protagonisti delle precedenti sei edizioni di "Per Aspera ad Astra" e "pensata per contribuire al recupero dell'identità personale e alla risocializzazione" delle persone in carcere.
    L'iniziativa è stata presentata dal vicepresidente di Fondazione Perugia Franco Moriconi, dal direttore del Teatro Stabile dell'Umbria, Nino Marino, dalla direttrice della Casa circondariale di Capanne Antonella Grella e dalla regista Vittoria Corallo.
    "Per Aspera ad Astra - ha detto Moriconi - è molto più di un progetto teatrale: è un gesto concreto di fiducia nelle persone e nelle loro possibilità di rinascita. Come Fondazione, crediamo nel valore del teatro come strumento di trasformazione, capace di restituire dignità, stimolare riflessione e creare legami. Sostenere questa iniziativa significa investire in un'idea di comunità più inclusiva, dove anche il tempo della detenzione può diventare tempo di formazione e speranza".
    Per il direttore Marino "il progetto rappresenta una delle esperienze più alte e necessarie che un teatro pubblico possa sostenere". "Per Aspera ad Astra - ha proseguito - ci ricorda che la cultura ha il potere di aprire varchi, di attraversare i muri, di farci incontrare là dove sembrerebbe impossibile.
    Portare il teatro dentro il carcere e, viceversa, portare il carcere dentro il teatro, significa costruire un ponte reale tra mondi apparentemente distanti, ma legati da un destino comune: quello di essere comunità. I detenuti, gli operatori, gli studenti, il pubblico: tutti, in modi diversi, partecipano a una pratica artistica che è anche una pratica di cittadinanza".
    La direttrice del carcere ha parlato di "occasione speciale per la cittadinanza, chiamata ad assistere non solo a uno spettacolo, ma a un momento di riflessione, condivisione e crescita". “L’evento – ha ricordato - rientra tra le attività trattamentali promosse all’interno del carcere, confermandosi anche quest’anno come parte integrante del percorso di cambiamento e di reinserimento sociale rivolto alle persone detenute. Guidati da operatori teatrali esperti e sostenuti dall’équipe dell’istituto, i partecipanti hanno lavorato per mesi alla costruzione di una performance corale, fatta di studio, prove, emozioni e riscoperta di sé. Attraverso il linguaggio universale del teatro, i partecipanti hanno potuto esprimersi, confrontarsi e mettersi in gioco, sviluppando competenze relazionali, emotive e artistiche”. “La collaborazione con gli studenti dei licei in questo progetto è diventata essenziale per me – ha raccontato Vittoria Corallo –. Quando ho iniziato a fare gli incontri con gli studenti gli ho chiesto perché avessero scelto di far parte di un progetto di teatro in carcere, le risposte che ho ricevuto sono state sorprendenti e toccanti. Hanno risposto che volevano portare il loro sguardo ai detenuti per non farli sentire invisibili, e che volevano dedicargli dei momenti di umanità perché immaginavano che in carcere non ci fossero. Hanno risposto inoltre che, attraverso il teatro, si può comunicare in maniera più libera e più profonda, anche tra persone che apparentemente non hanno niente in comune”. Vittoria Corallo ha poi raccontato come “i detenuti, che all’inizio partecipano distrattamente, quasi per passare il tempo, col tempo cambiano, la loro motivazione cresce, diventa autentica”. “Forse non comprendono il teatro in termini intellettuali – ha detto -, ma lo vivono come esperienza. Si sviluppa una sensibilità nuova: verso se stessi, verso gli altri, verso un mondo immaginario. Ed è per questo che abbiamo scelto Marcovaldo di Italo Calvino. Perché Marcovaldo è, come lo definiva lo stesso Calvino, uno di quei ‘poveri diavoli’, ai margini di un mondo strutturato che sembra averli dimenticati. Ma la risposta di Marcovaldo non è mai aggressiva: è quella di ritagliarsi spazi di esperienza, spiragli di bellezza. Anche in carcere, dove c’è una forte maschilità, legata al culto del corpo, alla durezza dei rapporti, entrare nel mondo leggero e poetico di Calvino è già di per sé un atto rivoluzionario. È un modo per raccontare un’altra maschilità, fatta di attenzione, di stupore per i dettagli della natura, non per la conquista del potere o del successo”.

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