Israele sul banco degli imputati, gli alti funzionari palestinesi e delle Nazioni Unite che incalzano con un fuoco incrociato di accuse. All'Aja si è aperto il braccio di ferro giudiziario che vede il governo di Benyamin Netanyahu chiamato a rispondere della gestione della crisi umanitaria a Gaza davanti ai giudici della Corte internazionale di giustizia. Le udienze ruotano attorno a una data: il 2 marzo. Quando lo Stato ebraico ha chiuso i valichi intorno alla Striscia, lasciando 2,4 milioni di palestinesi con scorte di cibo ridotte al lumicino.
"La fame è qui", ha attaccato il capo della rappresentanza palestinese nei Paesi Bassi, Ammar Hijazi, denunciando l'uso degli aiuti "come arma di guerra". La risposta israeliana non si è fatta attendere: il ministro degli Esteri, Gideon Sa'ar, da Gerusalemme ha liquidato il processo come "un circo" accusando a sua volta l'Onu e l'Unrwa di aver "strumentalizzano il diritto internazionale per privare Israele del suo diritto fondamentale di difendersi". Uno dopo l'altro, decine di Stati e organizzazioni sfileranno nei prossimi giorni davanti ai giudici incaricati dalle Nazioni Unite di redigere un parere consultivo sui doveri umanitari di Israele. "In quanto potenza occupante, ha l'obbligo inderogabile di consentire e facilitare la consegna degli aiuti", ha scandito in aula la consulente legale dell'Onu, Elinor Hammarskjold, rivolgendo il monito allo Stato ebraico.
Che, a stretto giro, ha replicato con un 'j'accuse' nei confronti della massima corte dell'Onu: "Vogliono costringerci a collaborare con un'organizzazione infestata da terroristi", ha tuonato Sa'ar durante un briefing con la stampa, osservando che è l'organizzazione guidata da Antonio Guterres a dover essere processata per non aver epurato la sua agenzia Unrwa - che coordina gli aiuti a Gaza - dai terroristi di Hamas: ne ha impiegati "1.400", ha sottolineato il ministro, "molti dei quali hanno preso parte alle atrocità del 7 ottobre, compreso il comandante della forza Nukhba". La delibera - non vincolante - dell'Aja potrebbe richiedere mesi. Sul campo, stando al Wall Street Journal, Israele starebbe intanto valutando un piano pilota per una nuova zona umanitaria nel sud della Striscia di Gaza, con il supporto di aziende private americane.
L'obiettivo è far transitare i camion con gli aiuti direttamente verso i civili, evitando che finiscano nelle mani dei miliziani. Ma la gestione umanitaria resta un nodo aperto: il presidente statunitense Donald Trump nei giorni scorsi aveva rivelato di aver sollecitato il premier Netanyahu a "essere buoni con Gaza", chiedendo l'apertura ai rifornimenti di cibo e medicine. Un colloquio emerso poco dopo l'allarme lanciato dal Programma alimentare mondiale dell'Onu sulle le scorte alimentari ormai terminate nella Striscia. La guerra di Gaza non vede comunque la prospettiva di una fine: un alto funzionario politico israeliano, stando a quanto riportato dai media, ha rifiutato la proposta di Hamas per un cessate il fuoco di cinque anni in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi. Una tregua simile, ha detto il rappresentante di Israele, "permetterebbe" ai miliziani "solo di riarmarsi, riprendersi e continuare la guerra contro lo Stato di Israele con maggiore intensità".
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