L'Italia non dispone più di grandi
imprese e - secondo la Cgia di Mestre - fatica ad attrarre le
multinazionali straniere. Con un deficit infrastrutturale molto
diffuso specie nel Mezzogiorno, una giustizia civile lenta e
impacciata, una PA che registra tempi di pagamento tra i più
lunghi di tutta UE e con un carico fiscale e burocratico da
record, fare impresa in Italia è molto difficile, quasi
proibitivo. Non per le nostre Pmi: nonostante tutti questi
ostacoli continuano a ottenere risultati economici e
occupazionali straordinari.
Al netto dell'inflazione, in questi ultimi 35 anni - calcola
la Cgia di Mestre - le retribuzioni medie degli italiani sono
rimaste al palo, mentre in quasi tutta UE sono aumentate anche
per l'assenza delle grandi imprese Sino sino agli inizi degli
anni '80 l'Italia era tra i leader europei - e in molti casi
anche mondiali - nei settori della chimica, della plastica,
della gomma, della siderurgia, dell'alluminio, dell'informatica,
dell'auto e della farmaceutica anche grazie al ruolo e al peso
di molti enti pubblici economici (Iri, Eni ed Efim) e di grandi
imprese sia pubbliche che private (Alfa Romeo, Angelini,
Enimont, Fiat, Italsider, Montecatini, Montedison, Montefibre,
Olivetti, Pirelli, Polymer, Sava/Alumix) che garantivano
occupazione, ricerca, sviluppo, innovazione e investimenti
produttivi.
A distanza di 45 anni- è la valutazione della Cgia di Mestre
- abbiamo perso terreno e leadership in quasi tutti i settori in
cui eccellevamo. Nonostante ciò, in questi ultimi decenni
l'Italia è rimasta tra i paesi economicamente più avanzati del
mondo e questo - conclude l'associazione artigiana - lo deve
quasi esclusivamente alle sue Pmi che, tra le altre cose, grazie
alle produzioni "made in Italy" continuano a "dominare" buona
parte dei mercati internazionali.
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