(di Angelo Cerulo)
Per combattere efficacemente la
Malattia di Alzheimer occorre rafforzare sul territorio il gioco
di squadra per la prevenzione fra il neurologo e i diversi
specialisti coinvolti oltre al medico di medicina generale e
puntare sull'adozione e diffusione dei nuovi metodi diagnostici
basati sull'analisi del sangue che saranno presto disponibili.
E' su queste due linee che si può intervenire per il contrasto
ad una patologia, con casi in aumento e impatto sociale, che
mette in ginocchio l'ammalato e i suoi familiari. Ne è convinto
il dottor Gennaro Barbato, neurologo napoletano, che ha prodotto
un nuovo suo lavoro (dopo i tre precedenti) sull'argomento. Il
libro 'La Malattia di Alzheimer nell'ambulatorio di Neurologia
delle cure primarie: approfondimenti pratici sulla diagnosi
precoce e sulle nuove strategie di trattamento' (Pl Print, 95
pagine, 18 euro), Barbato - attualmente impegnato nel Distretto
41 dell'Asl Napoli 2 Nord dopo anni di lavoro nell'Asl Napoli 1
Centro - è dedicato alla patologia dalle prime alterazioni che
compaiono nel cervello quando i pazienti sono ancora
asintomatici per poi arrivare ai sintomi della malattia fino
alla demenza nei suoi diversi stadi. "La figura specialistica
per la diagnosi - spiega Barbato, neurologo delle cure primarie
dal 1991 - resta di cruciale importanza se si vuole avere una
diagnosi fine e più precoce possibile. In questo quadro decisiva
è l'attività sul territorio".
Nel lavoro lo specialista mette in rilievo che "a distanza di
tanti anni dalla identificazione dell'Alzheimer la diagnosi
spesso viene fatta oltre un
tempo cosiddetto ragionevole. Arrivare ad una diagnosi precoce
comporta certamente dei vantaggi". Ad esempio, prendere
decisioni importanti di tipo lavorativo e finanziario e
pianificarle in anticipo oppure discutere di responsabilità
familiari o, ancora, fare cambiamenti nella gestione della
propria condizione medica. A disposizione ci sono diversi
farmaci sintomatici con i quali si cerca "di ottimizzare il
funzionamento giornaliero del soggetto". Il Sistema sanitario
nazionale prevede, inoltre, la presenza sul territorio di Centri
per la prevenzione, la diagnosi e la cura dei disordini
cognitivi e le demenze (Cdcd) nei quali il neurologo è
affiancato dallo psicologo del neurocognitivo e dal geriatra.
"Molti di questi Centri - afferma Barbato - lamentano lacune sia
infrastrutturali che organizzative; si registra l'assenza di una
o più figure professionali o la confusione dei ruoli di quelle
presenti con il risultato che sono evidenziati dati che indicano
una sottostima o, peggio ancora, una diagnosi errata".
Negli ultimi anni, mette in rilievo lo specialista, "la
diagnosi di Malattia di Alzheimer si sta spostando sempre più da
una diagnosi basata sul modo con cui si presentano i sintomi
clinici verso una basata su marcatori biologici; ad esempio, la
iperglicemia per il diabete o l'iperuricemia per la gotta cosi
come l'amiloide e la tau lo sono per la Malattia di Alzheimer. I
biomarcatori comprendono la PET-amiloide, i biomarcatori del
liquor e quelli plasmatici che seguono il percorso di accumulo
della beta-amiloide e della tau. Il risultato alterato di questi
biomarcatori è sufficiente per stabilire la diagnosi e per
iniziare un eventuale trattamento. Il trattamento con il
lecanemab, il farmaco recentemente approvato per l'Alzheimer,
richiede la conferma della patologia amiloide che attualmente
viene ottenuta utilizzando scansioni PET-amiloide o l'analisi
del liquor. Recenti scoperte suggeriscono che i biomarcatori
plasmatici potrebbero avere caratteristiche prestazionali
equivalenti ai test del liquor". In realtà, il 'sogno' per chi
opera nell'ambito delle cure primarie, è quello di saltare il
test del liquor e la PET e far effettuare gli esami del sangue
come primo screening. Conclude Barbato: "Si stanno compiendo
grossi passi in avanti proprio in questa direzione. Se
attualmente i biomarcatori del liquor sono quelli in auge per la
diagnosi di Alzheimer, ben presto sarà la volta dei biomarcatori
del sangue".
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