La Chiesa "non è un Parlamento, nè un raduno politico, ma una convocazione nello Spirito". È solo l'ultimo dei richiami alla tentazione di ragionare secondo schemi politici che pPpa Francesco lanciò agli alti prelati in occasione del Sinodo, il 4 ottobre del 2023. Ma va da sé che nelle congregazioni generali pre-conclave in cui si studia e si mettono a punto le candidature, è quasi impossibile non essere suggestionati anche dalla percezione del posizionamento secondo lo schema "progressisti- moderati-conservatori" che ciascun cardinale ha di sé e degli altri. Basterebbe del resto osservare come entrano ed escono prima e dopo le riunioni.
Nella cappella Sistina saranno in 135 - fatte salve probabili rinunce dell'ultimo momento - ad esprimere il loro voto, espressione di correnti e pensieri differenti, nonostante per l'80 per cento siano stati nominati da Francesco (108 sono quelli creati da lui, 22 da Benedetto XVI e 5 da Giovanni Paolo II). Creati anche al di là di un orientamento simile al suo, posto che quello di Francesco si possa incasellare nella rigida etichetta del progressismo. Resta il fatto che una pattuglia a lui avversaria e di stampo decisamente più tradizionalista e conservatrice, si è già delineata nel corso del suo pontificato. Ecco che l'americano Raymond Leo Burke, suo fiero oppositore si è visto spesso entrare alle congregazioni a braccetto con l'africano Robert Sarah, protagonista anche lui di uno scontro con Bergoglio in chiave pro Ratzinger. Questa pattuglia che potrebbe contare su una ventina di voti, potrebbe convergere su un candidato come l'ungherese Peter Erdo, già papabile nel precedente conclave e che non dispiacerebbe nemmeno ai polacchi e altri esponenti dell'Europa orientale, tutti su una linea estremamente moderata. Anche il tedesco Gerhard Ludwig Muller, clamorosamente silurato da Francesco agli esordi del pontificato, ha già rilasciato dichiarazioni che lo pongono certamente tra quanti voteranno un candidato di stampo saldamente conservatore.
A questo fronte potrebbero unirsi molti africani (alzarono compatti le barricate contro il documento Fiducia supplicans sulle benedizioni alle unioni gay) ed anche un ruiniano come l'italiano Giuseppe Betori, che si staccherebbe così dal gruppo degli italiani. Sul fronte progressista, quello più in sintonia con l'approccio pastorale, di Chiesa missionaria, chinata sugli ultimi e i fragili di Francesco, è senz'altro la punta di diamante della Comunità di Sant'Egidio, il cardinale Matteo Zuppi, 66 anni, forte anche di una rete di rapporti e relazioni ramificati e globali com'è quella della Comunità. Più nell'ombra, il cardinale Mario Grech, il prelato cui Francesco aveva affidato proprio la sua ultima "creatura", il Sinodo e il percorso della Chiesa sinodale. Maltese, affabile, fluente in inglese e in italiano, Grech potrebbe essere una carta coperta nella linea della continuità. Al centro si pongono le figure di garanzia e di mediazione, come il segretario di Stato di Francesco, Pietro Parolin, fine diplomatico della scuola di Achille Silvestrini, reduce dal successo del faccia a faccia Trump-Zelensky in San Pietro. Proprio in relazione all'incontro tra i due leader, rumors delle ultime ore raccontano anche di un attivismo in chiave conclave dello stesso presidente americano Donald Trump, che avrebbe prenotato la carica di Segretario di Stato, per il suo beniamino, il cardinale di New York, Timothy Dolan. Un conservatore senza dubbio, che aveva giocato già un ruolo di kingmaker nel precedente conclave quando non pochi pensavano che Bergoglio sarebbe stato un Papa manovrabile.
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