Non punibile per "particolare
tenuità del fatto". E' terminato così oggi in tribunale a Torino
il processo a un agente del reparto mobile della polizia che
custodiva una pistola e due carabine nel suo alloggiamento in
caserma. Le armi gli erano state consegnate dalla convivente,
che a sua volta le aveva ereditate nel 1998 alla morte del
padre, perché non restassero in casa. Anche la donna è stata
prosciolta con la medesima formula.
Il pm Giovanni Caspani procedeva per la violazione di una
legge del 1967 in quanto lo spostamento del materiale non era
stato segnalato dalle autorità competenti. Per il poliziotto
erano stati chiesti sei mesi di reclusione, per la donna cinque
mesi e venti giorni. "La sentenza - commenta uno degli
difensori, l'avvocata Mariangela Melliti - riconduce la vicenda
alla sua giusta dimensione. Quelle armi erano dei semplici
cimeli di famiglia". Secondo le prime indicazioni è probabile
che la procura ricorrerà in appello.
Il caso emerse nell'autunno dello scorso anno durante una
perquisizione disposta nel corso di un'inchiesta su dei
poliziotti che svolgevano un secondo lavoro come decoratori e
artigiani utilizzando un furgone di servizio. Oltre alle armi
furono trovate delle munizioni e, per questa circostanza, oltre
alla coppia sono stati indagati altri due agenti: tutti e
quattro, oggi, hanno chiesto - con il consenso del pm - di
uscire dal procedimento versando 185 euro a titolo di oblazione.
Tutte le persone chiamate in causa hanno rinunciato a
chiedere il dissequestro dei materiali, che ora sono stati
confiscati e destinati alla direzione di artiglieria.
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